Creatività, scrittura, editoria. Cosa lega queste tre parole?

Le rispondo partendo da lontano, dal secondo secolo dopo Cristo, citando Terenziano Mauro: «De captu lectoris habent sua fata libelli», il destino dei libri è nelle capacità dei lettori. Sta scritto su un cartello appeso davanti alla mia scrivania. Perché il punto è questo, e molti di noi lo dimenticano. Tutto dipende da chi ti legge. Se non lo convinci, hai perso.

Si scrive solo per vendere, quindi?

No: ma vendere è importante. Ignorare questo è da superbi. Si scrive per rendere un servizio. Mi lasci essere brutale: i libri sono utili o inutili. Meglio i primi. Attenzione. “Utile” può voler dire molte cose: interessante, sorprendente, commovente, divertente, istruttivo, capace di illuminare una zona in penombra della tua vita. Questo sforzo creativo di rendersi utili, posso dirlo?, nell’editoria italiana è un po’ venuto meno.

Colpa degli autori o degli editori?

Della mancanza di coraggio degli uni e degli altri. Oggi quando un autore trova una strada, e vende, si tende a chiedergli sempre lo stesso libro. Ci sono alcuni autori di saggistica, in Italia, che scrivono lo stesso libro da vent’anni. Cambia solo il titolo.

Qualche nome?

Mi sembrerebbe scortese: gli interessati e i loro editori lo sanno. Posso dirle che il mio editor alla Rizzoli – si chiamava Edmondo Aroldi, era il 1989 – chiamava questi libri “i figli di Tarzan”. Si riferiva ai film, molto simili fra di loro, realizzati dopo il grande successo del primo film. Ecco: ancora oggi l’editoria è piena di “figli di Tarzan”. Quando nel 1990 uscì il mio primo libro, Inglesi, andò bene; in tanti mi suggerirono di scriverne un secondo sullo stesso tema. Se gli avessi dato retta, oggi pubblicherei il ventecinquesimo libro sugli inglesi. Invece ho voluto rischiare e il mio editore – Rizzoli, finora sono stato monogamo – ha rischiato con me. A partire dal 1990, ho pubblicato quattro libri di viaggi, tre ritratti nazionali, tre raccolte di giornalismo, due saggi sulle lingue, due esercizi sul futuro, un’autobiografia, un’epopea nerazzurra. Da “La vita è un viaggio” (2014) ho tratto e interpretato uno spettacolo, che ho portato nei teatri italiani. E’ appena uscito “Signori, si cambia“: spiego che i treni aiutano a pensare. E di pensare c’è bisogno.

Quindi è questa la creatività?

Perché no? Creare vuol dire cambiare e accettare qualche rischio. Obiettivo: un prodotto utile.

In Italia si legge poco. Forse i libri costano troppo?

La gente non legge per tanti motivi. Non per il costo eccessivo dei libri. Questa è una leggenda.

Perché, allora?

Perché nel telefono che abbiamo in mano la narrazione è personale, movimentata, affascinante. Pensi a Facebook o a WhatsApp. Con questi avversari deve misurarsi, oggi, un libro. La sfida è quella. Bisogna essere bravi, attenti, nuovi e coinvolgenti. «De captu lectoris habent sua fata libelli»: siamo sempre lì.

Il digitale si fa sentire anche su un altro fronte: la pirateria. Come si difende il lavoro degli autori?

Il lavoro degli autori va protetto e pagato: altrimenti nessuno può permettersi di scrivere e creare. Bisogna però ragionare: cosa è difendibile e cosa non più? Cosa possiamo accettare di offrire gratuitamente e cosa dobbiamo proteggere e chiedere di pagare?

La legge potrebbe fare di più per tutelare l’editoria?

Credo di sì. Ammetto: non è facile. La tecnologia non si sconfigge con la legge: bisogna inventarsi una tecnologia migliore e prodotti migliori. Le vicende di Amazon, TripAdvisor e Uber, in tre campi diversi, non ci hanno insegnato nulla?

Quindi lei sarebbe disposto a scrivere gratis?

Già lo faccio. Al blog “Italians” su Corriere.it si accede liberamente: dal 1998! Il Corriere e il New Yortk Times – cercate il mio nome – offrono gratuitamente una robusta selezione di miei pezzi. Su Twitter quello che scrivo è accessibile. Gli stessi lettori trovano del tutto normale, poi, comprare il “Corriere” dove scrivo; acquistare i miei libri; prendere un biglietto e venire a vedermi a teatro; guardare un mio programma in TV e sorbirsi la pubblicità. Se si ragiona, una soluzione si trova. Aggiungo, per onestà: per un columnist/scrittore questa è l’età dell’oro. Internet per noi è un vantaggio; per le testate, in tutto il mondo, si sta rivelando una sfida impegnativa. Si può vincere, però.

Lei ha scritto più volte che “L’Italia deve pensare in avanti”. Cosa intende?

Le racconto un aneddoto familiare. Mio padre ha 99 anni. Mesi fa ha suggerito di piantare in un campo alberi di noci, fra i più lenti a crescere. Ha detto: “Fra trent’anni saranno bellissimi”. Ecco: in Italia dovremmo iniziare a ragionare così: piantiamo noci, anche se non saranno per noi.

Fuor di metafora?

Dobbiamo imparare a essere lungimiranti. A fare progetti. A pensare a chi verrà dopo di noi: perché qualcuno, nel XX secolo, ha pensato a noi. Da Palazzo Chigi, alle aziende, ai cittadini: facciamo qualcosa senza preoccuparci di vedere subito i risultati. Nel frattempo ci ripagheranno l’orgoglio e la soddisfazione di fare la cosa giusta.

E-book e prodotti online possono contribuire alla diffusione della lettura tra i giovani?

Certo. Ha visto la nuova versione digitale del Corriere della Sera?

Dobbiamo quindi dimenticarci la carta?

Chi pensa che, tra vent’anni, i ragazzi di oggi leggeranno un quotidiano di carta è fuori dal mondo. Per il libro il discorso è diverso. Il libro è un oggetto; il giornale è un servizio. Tutti noi abbiamo libri in casa, pieni di appunti e cartoline e ricordi. Chi tenesse in salotto la collezione degli ultimi vent’anni di un quotidiano soffre di seri disturbi mentali.

Il lavoro degli autori va protetto e pagato: altrimenti nessuno può permettersi di scrivere e creare.

Beppe Severgnini